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Deficit o avanzo sanitario? Tante domande poche certezze

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Deficit o avanzo sanitario? Tante domande poche certezze

Il Ministero della Sanità nasce in Italia nel 1958, per la tutela della salute individuale e dell’interesse collettivo alla conduzione di una vita sana ed igienica.

Dopo un’ulteriore fase trentennale di studi, discussioni, rivendicazioni di personaggi simboleggianti forze politiche e sindacali, con la legge 23 dicembre 1978 n.833 si decreta il definitivo dissolvimento del previgente regime mutualistico e si istituisce il Servizio Sanitario Nazionale; in ritardo di molti anni rispetto alla Legge costitutiva del Ministero ed alla dichiarazione di Alma Ata nella quale tutti i Paesi del mondo si sono riconosciuti.

La dichiarazione della Conferenza internazionale, voluta in primis dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e tenutasi poco prima dell’emanazione della riforma sanitaria italiana, impegna tutti i governi a porre la dovuta attenzione alla salute delle popolazioni nell’elevata accezione di benessere fisico, mentale e sociale (quindi, non solo assenza di malattia) anche al fine di ridurre le disparità esistenti circa lo stato di salute degli individui appartenenti ai Paesi meno sviluppati rispetto a quelli più ricchi.

La legge di riforma sanitaria è altrettanto ambiziosa, connotata da elementi profondamente innovativi ed ampiamente “etica” poiché finalizzata ad attuare

  • l’educazione sanitaria dei “cittadini del mondo”,
  • le attività di prevenzione,
  • cura e riabilitazione nonché l’assistenza farmaceutica, e tutto ciò gratuitamente per i fruitori.

In questa prospettiva il Fondo Sanitario Nazionale è strumento cardine del sistema, con stanziamenti annualmente stabiliti con legge finanziaria ed iscritti in distinti capitoli di parte corrente e in conto capitale del bilancio statale, così da colmare, concordemente a quanto auspicato a livello planetario con la dichiarazione di Alma Ata, anche il divario tra regioni ricche e regioni povere del “bel paese” (l’Italia).

La gestione del Fondo avrebbe redistribuito risorse finanziarie garantendo la massima corrispondenza tra domanda sanitaria del cittadino e servizi erogati, così da realizzare per ogni cittadino reali condizioni igienico sanitarie ottimali ( tutti “in salute”).

Di fatto, nei quarant’anni di vigenza della riforma sanitaria, una serie di problemi costanti e sempre più pressanti si sono evidenziati proprio nel processo di finanziamento del sistema:

  • inizialmente il previsto Piano Sanitario Nazionale, quale atto programmatorio della più generale programmazione economica nazionale, è stato elaborato vari anni a seguire l’entrata in vigore della legge n.833/78 per una molteplicità di ragioni, tra le quali la scarsa conoscenza delle variabili costitutive del sistema (strutture sanitarie, personale, ecc.), le profonde differenze tra le realtà regionali e, soprattutto, la difficile determinazione del Fondo Sanitario Nazionale nella contemporanea presenza di trasformazioni di strutture ed istituzioni;
  • nel 1992 l’insostenibilità del finanziamento statale a “piè di lista” porta all’aziendalizzazione delle strutture sanitarie di base, attuali aziende sanitarie ed ospedaliere, oltre che ad una distribuzione delle responsabilità a livello regionale che pone le basi per un’imprevedibile configurazione di sistemi sanitari regionali diversificati e, a volte, tanto “fuori controllo” da imporre “Piani di rientro” e finanche “commissariamenti”;
  • sul versante delle prestazioni sanitarie lo Stato assurge sempre più incisivamente al ruolo di controllore della spesa sanitaria regionale, delimitando il suo ruolo originario prevalentemente alla definizione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) e concorrendo alla spesa con il finanziamento dei LEA, che le Regioni, cui compete la copertura di eventuali disavanzi generati, devono assicurare in forza dell’essenzialità dei servizi indicati, con un evidente trasferimento di responsabilità ed a garanzia dell’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale.

S’implementa in tal modo un sistema complesso, che va dai “Piani di rientro” ai “Tavoli di monitoraggio”, fino alle verifiche di singole voci di spesa nei bilanci aziendali delle singole unità sanitarie.

Nell’ultimo Rapporto di monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato del luglio 2017, si afferma che la dinamica al rialzo della spesa sanitaria si è notevolmente contenuta negli anni, grazie alla guida oculata condotta con un processo normativo altrettanto complesso.

La tendenza al contenimento di tale importante voce di spesa della Pubblica Amministrazione è confermata dall’autonomo giudizio della Corte dei Conti riferito alle autonomie locali che, con deliberazione n.3/SEZAUT/2018 in relazione allo scenario generale della spesa pubblica corrente, rileva che la relativa spesa sanitaria, per il triennio 2014/2016 e rispetto all’anno 2013, aumenta il proprio peso nella misura di soli 3 miliardi su 21 di spesa complessiva (… non è poco ?,, la dizione non è chiara!!). Ed in termini reali la spesa sanitaria risulta non solo stabilizzata nel 2016 ma prospetticamente in decremento fino al 2020.

Il deliberato Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali non manca di rimarcare un costante ritardo statale nella ripartizione del Fondo sanitario nazionale che pregiudica un’efficiente gestione delle risorse, oltre che la presenza di una rappresentazione contabile “opaca” e la carenza di “parametri obiettivi per la definizione del costo dei Livelli Essenziali di Assistenza” (LEA).

E tutto ciò senza alcuna variazione sulla “performance” del Servizio Sanitario Nazionale, come afferma la stessa Ragioneria generale dello Stato sin dal primo, e fino all’ultimo, rapporto di monitoraggio, supportando la rassicurazione con la certificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità attestante il nostro Servizio Sanitario tra i “… primi posti nel contesto europeo e mondiale, per la qualità delle prestazioni, nonché l’equità e l’universalità di accesso alle cure …”.

Ma qualcosa non torna e non solo nel sentire collettivo di chi, proprio malgrado, è cittadino fruitore sanitario:

  • i tempi burocratici sembrano più lunghi dei tempi di visita medica, anche quando, sempre più raramente, l’oberato medico di base riesce ad effettuarla;
  • i tempi di degenza ospedaliera “standardizzata” nei DRG (il Diagnosis Related Group è una classificazione piuttosto elevata di ricoveri, definiti in modo da risultare significativi sotto il profilo clinico ed omogenee dal punto di vista delle risorse assorbite e quindi dei costi di produzione dell’assistenza ospedaliera, e per tale motivo viene utilizzato per l’assegnazione delle risorse finanziarie alle strutture del S.S.N) sembrano ridotti al “minimo”, se rapportati alla nuova frontiera della medicina di genere o alle esigenze di un’assistenza personalizzata e qualificata;
  • i “camici bianchi” pubblici rappresentano circa il 20%, al pari degli amministrativi, del totale dei dipendenti delle Aziende sanitarie e ospedaliere, ed il costante intasamento di alcuni reparti, per lo più di grandi ospedali, manca di rispettare un rapporto “medico/degenti” più idoneo ad assicurare la presenza di un imprescindibile rapporto umano con gli assistiti.

E così, sul fronte dei costi della sanità numerose pubblicazioni di stampa specializzata (es. “Il fatto quotidiano”, “Fasi” e “Redazione DottNet”), successive ai documenti sopra citati, riportano situazioni di bilancio non del tutto rassicuranti ed in preoccupante disavanzo finanziario (deficit); e ciò con riferimento a poco meno della metà degli ospedali italiani, dislocati a “macchia di leopardo” da nord a sud sullo stivale, e nonostante i generalizzati, ma più incisivi per le Regioni in “rientro”, incrementi delle addizionali regionali IRPEF !

Possono scaturire una serie di domande dalle poche righe di riflessione riportate, tra le quali si ritengono di maggiore rilevanza le seguenti:

  1. I LEA sono veramente garantiti uniformemente da tutte le Regioni?
  2. I Piani di rientro attuati o in corso di attuazione sono strumentali all’obiettivo?
  3. I costi di natura strettamente sanitaria, considerata la complessità aziendale, sono le uniche fonti di spesa ad essere state messe sotto osservazione?

Le risposte potranno avere certezza di verità?

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