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Costantinopoli o Istanbul?

Costantinopoli o Istanbul?

Auguri alla Grecia! Far gli auguri alla Grecia è un po’ come far gli auguri all’Europa (la mitica Ευρώπη, figlia di Agenore e sorella di Fenice, che Zeus pensò bene di rapire, di portare a Creta per farla Regina madre di tre Re, Minosse, Rodamanto e Sarpedonte). Auguri perché esattamente duecento anni fa – per la precisione il 25 Marzo 1821 – ebbe inizio l’insurrezione che portò alla liberazione del Paese occupato dagli Ottomani quasi quattro secoli prima, nel 1453, a seguito della caduta di Costantinopoli, e poi finalmente all’indipendenza nel 1832.

Far gli auguri alla Grecia è anche un po’ come ricordare a noi stessi il vicino scomodo, che tutti vogliono ma nessuno vuole veramente, che tutti invitano ma che nessuno ha il coraggio di far sedere a tavola, che in realtà i più “temono” ancora come imprevedibile erede dell’impero ottomano e del suo espansionismo (in ciò aiutati da comportamenti politici che ricordano più un Sultanato d’antan piuttosto che una repubblica del III millennio).

Le immagini dei monumenti illuminati con i colori biancocelesti della bandiera greca, da Sidney a Washington, da Londra a Cape Town passando per tutte le capitali europee, asiatiche e sudamericane indicano indirettamente una scelta di campo; non certo economica – di business politics per dirla in termini forse più corretti, che invece vede la Turchia protagonista da una trentina d’anni a questa parte malgrado la recente crisi finanziaria  – quanto piuttosto storica e diciamo così democratica. Anche se ad Atene la democrazia di oggi (men che meno la “Nuova Democrazia” al governo) non ha nulla a che fare con la democrazia di Pericle. Anche se la filosofia, la cultura, la passione per le scienze e le arti sono oggi pallidi riflessi di un passato che non c’è più. Ma questo è un altro, doloroso, discorso.

Tale ricorrenza storica cade in tempo inusuale per noi di pandemia. Domanda: in tempo di pandemia, le grandi questioni internazionali vanno in letargo? Se ne parla poco, certo, l’attenzione e’ necessariamente altrove. A ben guardare, però, il silenzio e’ forse soltanto di tipo mediatico. Quindi la risposta e’ «no, anzi». Anzi, perché il blackout spesso serve a manovre diplomatiche o para-diplomatiche che se ovattate riescono meglio.

Ai confini sudorientali dell’Unione Europea si vive praticamente da sempre (ed il bicentenario della rivoluzione ellenica ce lo ricorda) una grande questione internazionale della storia moderna: il bras de fer tra Grecia e Turchia. Si tratta di una tensione perenne, radicata nei secoli, mai sopita, fatta di guerre, diaspore e deportazioni, di scaramucce militari, di provocazioni politiche, di offese piu o meno accettabili ma poi alla fine sempe accettate, di mosse geopolitiche che nascondono interessi economici che travaricano i confini del Mediterraneo sud-orientale e trovano la loro origine, biecamente, nella politica degli affari di cui sopra. Ed anche di una collocazione geopolitica oggettivamente privilegiata. O a rischio, a seconda dei punti di vista.

Una sorta di vulcano attivo, dunque, che anche se nasconde la lava non riesce a (e probabilmente non vuole) camuffare le colonne di fumo. A dire il vero un’eruzione ci fu, eccome; nell’apparentemente lontano 1974 (lontano nel tempo, non nelle coscenze dei protagonisti ne’ tantomeno nella memoria delle vittime e delle loro famiglie), quando – a seguito di un tentativo di colpo di stato maldestramente pilotato dall’allora dittatura militare greca – la “rappresaglia” turca condusse allo smembramento dell’isola in due parti. A nord-est la Repubblica Turca di Cipro del Nord – a livello internazionale riconosciuta ufficialmente solo dalla Turchia malgrado intrattenga relazioni economiche con una decina di Paesi – nel resto dell’isola la Repubblica Cipriota. Le cifre ufficiali parlano di oltre dodici mila vittime tra morti e dispersi in meno di un mese di combattimenti. Invasione ed occupazione in piena regola.

A quasi mezzo secolo di distanza, a seguito dell’incapacità della Comunità Internazionale di trovare una soluzione condivisa vige uno status quo sostanzialmente immutato, consolidato dall’adesione di Cipro all’Unione Europea nel 2002. La soluzione migliore e piu equa sarebbe ovviamente il ritorno al 1974, ma Ankara non la prende nemmeno in considerazione e nessuno intende imporla con la forza. Così come è ormai naufragata l’opzione riunificazione delle due Comunità sotto forma di federazione, nota anche come Piano Annan, portata avanti dalle Nazioni Unite ma invisa ad entrambe le parti e soprattutto ai Ciprioti che la bocciarono definitivamente con un controverso referendum nel 2004 (malgrado l’appoggio della Grecia).

Membro associato dal 1963, la Turchia ottenne dall’Unione Europea lo status di candidato all’adesione solo nel 1999, dodici anni dopo la richiesta ufficiale. Come da prassi, anche se solo nel 2005 Bruxelles ed Ankara iniziarono i negoziati. Andamento lento e progressi inesistenti; 16 dossier aperti su 35 (di cui uno solo chiuso con successo), ed interruzione del processo a seguito dell’ancor oggi poco chiaro tentativo di rovesciamento del Presidente Erdogan nell’estate del 2016. L’Europarlamento ha adottato  da allora più d’una Risoluzione che – malgrado l’assenza di carattere vincolante – chiede la sospensione dei negoziati. I motivi? Più d’uno; intervento militare in Siria, violazioni continue dello spazio  aereo e delle acque territoriali di Grecia e Cipro, gestione dei flussi migratori, libertà di stampa, repressioni di oppositori, solo per citarne alcuni. Un vero e proprio raffreddamento politico, che si giustifica facilmente da parte comunitaria: se vuoi entrare in un club, devi accettarne le regole e condividerle con gli altri membri. Altrimenti amici come prima. O forse un po’ meno, nel caso di specie. Le provocazioni sono troppe, e troppi visibili, al punto tale che nemmeno la più sfrontata delle real politik possibili potrebbe ignorare. Ipocritamente forse (commercio e cooperazione militare non si toccano), ma almeno le apparenze son salve.

Last but not least, classica goccia che fa traboccare il vaso, a tutto ciò vanno aggiunte le recenti attività illegali di “esplorazione energetica” e trivellazione che la Turchia porta avanti nel Mediterraneo orientale in acque greche e cipriote a seguito della scoperta di giacimenti importanti di gas naturale e forse anche petrolio. Operazioni unilaterali ed appunto “illegali” – l’aggettivo è del Consiglio Europeo – effettuate nientemeno con la scorta dell’esercito (anche in zone già assegnate con gara pubblica internazionale da Grecia e Cipro ad aziende italiane, francesi, americane, israeliane, egiziane, qatariote) che destano preoccupazione e suscitano condanna e solidarietà pressoché unanimi. Oltre a condanna e solidarietà, per ora, non si va. E meno male, perché i famigerati venti di guerra che – inutile nasconderlo – soffiano dal Bosforo giù giù sino all’Egeo in realtà non li vuole nessuno. Men che meno la gente comune che da anni si aspetta un “episodio caldo”, una provocazione che sconfina nel casus belli. Sarebbe un lose lose su tutta la linea con conseguenze imprevedibili, una scacchiera impazzita nel salotto buono della NATO dove tutti rivendicherebbero un ruolo, Stati Uniti, Russia e Islam radicale compresi, con conseguenze imprevedibili tranne l’unica certezza di un comune finale tragico. Che l’area che va dai Balcani al Medio Oriente sia una polveriera non è un mistero. E allora che la tensione che si respira anche nelle Cancellerie europee rimanga pure alta, è il male minore.

In questo clima non certo idilliaco, dopo anni di stallo sono ripresi a Marzo i cosiddetti “colloqui esplorativi” tra Grecia e Turchia, iniziati nel 2002. Siamo ormai arrivati al 62o round, e certamente ce ne saranno altri. In aggiunta alle storiche dispute in merito al riconoscimento dei trattati internazionali, alla definizione delle acque territoriali e delle zone economiche speciali per lo sfruttamento delle risorse marine, il nuovo menù dei colloqui prevede dunque le novità di cui sopra: idrocarburi nel Mediterraneo Orientale, diritti di sfruttamento, approvvigionamento energetico sottomarino, frontiere dell’Unione, il tutto accompagnato dalle ormai non più velate accuse al Governo di Ankara di deficit democratico e violazione dei diritti umani. Non che ci si debba aspettare chissà che cosa, ma almeno si abbassano i toni.

La Grecia è spalleggiata dall’Unione, che se non parla più di sanzioni dopo le critiche internazionali per applicarle à la carte (vedi recentemente Russia, Ucraina ed appunto Turchia), prende posizione come non può più esimersi dal fare. Così si spiegano le Conclusioni del Vertice dei Capi di Stato e di Governo del 25 Marzo (la coincidenza esatta della data con il bicentenario difficilmente è casuale), secondo le quali i leader europei accolgono «con favore il recente allentamento delle tensioni nel Mediterraneo orientale grazie all’interruzione delle attività illegali di trivellazione, alla ripresa dei colloqui bilaterali tra Grecia e Turchia e ai prossimi colloqui sulla questione cipriota sotto l’egida delle Nazioni Unite», affermando come «a condizione che prosegua l’attuale allentamento delle tensioni e che la Turchia dialoghi in modo costruttivo (…) l’Unione europea è pronta a dialogare con la Turchia in modo graduale, proporzionato e reversibile per intensificare la cooperazione in una serie di settori di interesse comune», per concludere con l’invito alla Turchia «ad astenersi da nuove provocazioni o azioni unilaterali in violazione del diritto internazionale».

Ogni tanto la lettura dei resoconti dei Consigli Europei aiuta ad anticipare gli sviluppi futuri. All’adesione della Turchia non ci pensa né ci crede più nessuno, Bruxelles in primis. Obiettivo delle parti è ormai l’altrettanto conveniente per entrambi Unione Doganale, il perfezionamento della quale deve tuttavia passare per un lungo percorso diplomatico costellato da innumerevoli ostacoli di natura politica, economica, sociale. Tra l’altro né Washington né Mosca avranno un ruolo da comparsa, considerando anche il fatto che l’insediamento di Joe Biden alla Presidenza degli Stati Uniti e la nuova politica estera americana (più “aggressiva” rispetto all’America First di Donald Trump) hanno avuto come conseguenza quasi immediata un allontanamento piuttosto plateale tra la Casa Bianca ed Ankara. Circostanza che ha creato l’effetto opposto e contrario con il Cremlino, geopoliticamente ora più vicino alle posizioni di Erdogan.

La vexata quaestio non si risolverà a breve. Qualsiasi concessione appare oggi utopica. Cipro è e sarà una ferita aperta, difficile da rimarginare. Lo sfruttamento degli idrocarburi è forse la partita economica chiave dei prossimi decenni, a livello mondiale; difficile ipotizzare un passo indietro dall’una o dall’altra parte (tra l’altro di parti ce ne saranno alla fine ben più di una, la posta in gioco è enorme e la Grecia – che anniversario, rivoluzione ed indipendenza a parte è ancora troppo soggetta ad influenze esterne – difficilmente troverà risorse economiche e capitale umano per gestire il tutto in autonomia come dovrebbe, nell’interesse nazionale). Il Mediterraneo torna come non mai ad essere al centro di nuovi equilibri internazionali in divenire. Sirtaki o Zeybek? Tsamiko o danza del cucchiaio? Auspichiamo una fusione, a patto che i ballerini non si pestino i piedi.

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ha conseguito il Baccalaureato Europeo presso la Scuola Europea di Varese (1989) e ha completato la Scuola di Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università degli Studi di Trieste (1993). A far data dal 1994 ha lavorato per il Parlamento Europeo, gli Uffici di Rappresentanza Regionale Italiana e la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Missione PORE). Nel 2008 assume la Presidenza della Scuola di Educazione Europea di Creta; conduce inoltre un programma televisivo settimanale sugli Affari Europei. Attualmente è Advisor per l'Internazionalizzazione del Governatore di Creta, Project Manager per l'Agenzia dello sviluppo di Heraklion, Coordinatore generale di un programma EU Switch-Asia Grant, Esperto di turismo ICC per la Commissione Europea, Vicepresidente di "Unesco Knossos", Membro del Consiglio della Camera greco-cinese e Presidente della sezione cretese, consulente per DMC e DMO. Ha assunto incarichi di insegnamento in qualità di docente a contratto presso l’Università statale di Milano,la Federico II di Napoli, l’Università di Apuliae e presso l’Hellenic Mediteranean University di Heraklion.