
Negli anni Sessanta del secolo scorso, Julius Evola – massimo esponente del dadaismo italiano e filosofo controverso ma preveggente – scrisse un articolo significativamente intitolato Quo vadis, Ecclesia? in cui preconizzava gli esiti infausti del crescente progressismo del cattolicesimo.
Evola assimilava il nuovo corso inaugurato dal Concilio Vaticano II alla trahison des clercs stigmatizzata da Julien Benda, cioè al tradimento degli intellettuali (nel caso specifico, una parte del clero fino alle sue massime gerarchie):
- i quali abbandonano la difesa dei valori spirituali tradizionali e
- mettono il loro pensiero e la loro stessa autorità al servigio dei processi e delle forze che si affermano nel mondo moderno; forze che corrispondono a ideologie sovvertitrici, alle quali la Chiesa rischia di fornire una giustificazione.
Il pericolo paventato da Evola sembra aver raggiunto oggi il suo acme con l’attuale pontificato.
In effetti, sono molti e univoci i segni di questo processo involutivo, denso di perniciose implicazioni, a partire dall’atteggiamento che si riassume nell’interrogativo pronunciato dal Papa: «Chi sono io per giudicare?».
Il relativismo che ispira tale quesito viene mascherato, con gesuitica sottigliezza, sotto il termine “discernimento”, attitudine che Francesco invita a coltivare e a praticare.
La facoltà di discernere, in sé apprezzabile e anzi necessaria, non viene però evocata per distinguere nettamente ciò che è buono da ciò che non lo è, ma, al contrario, per cogliere le sfumature ed evitare giudizi assoluti. Una simile impostazione, che potrebbe avere un suo pregio filosofico, appare del tutto incongrua se professata da un Organismo che presume di essere garante della Verità e che dovrebbe conformarsi all’insegnamento di Cristo: «Sia il vostro parlare: sì, quando è sì; no, quando è no. Il di più viene dal Maligno» (Mt. V 5:37).
Ovviamente la Chiesa non può ripiegarsi in se stessa e chiudersi nel passato, ma dovrebbe rinnovarsi nel rispetto della Tradizione.
Oggi essa sembra invece affascinata dalla grande tentazione del cambiamento fine a se stesso, perseguito a costo di interrompere la linea di continuità con la propria dottrina.
Si tratta peraltro di un cambiamento fittizio perché in realtà altro non è che la riproposizione di temi riconducibili alla teologia della liberazione e a un peronismo di sinistra: ideologie consunte e fallimentari che ora vengono immeritatamente rivitalizzate, suscitando il plauso della sinistra e persino degli atei marxisti, i quali oramai riconoscono nel Papa il proprio leader più autorevole.
Intanto le Chiese si svuotano (anche perché quelle moderne sono incubi architettonici) e l’Occidente si secolarizza sempre più.
I tempi pericolosi e disordinati che stiamo vivendo richiederebbero intransigenza nella difesa dei valori non negoziabili e il coraggio di contrastare il pensiero conformista e banale propalato dai grandi opinion makers.
La Chiesa invece asseconda le tendenze disgregatrici della nostra civiltà e si riduce alla funzione di cassa di risonanza del “politicamente corretto”.
È amaro constatare che Nietzsche aveva ragione quando affermava: “C’è un punto nella storia della società di morboso infiacchimento e spossatezza nel quale la società stessa prende le parti di chi le porta danno”, e così dimentica – aggiungiamo noi – che il Buon Pastore è colui che scaccia il lupo, non certo chi lo fa entrare nel recinto delle pecore.
Tale inclinazione autolesionistica è frutto di un insano rancore per le proprie radici, di un senso di colpa che ci viene instillato quotidianamente dai fautori della “cultura del piagnisteo” e ci induce a un bisogno di espiazione attraverso l’annichilimento di noi stessi.
La Chiesa si ammanta di belle parole come “pace” e “dialogo”, concetti che nessuno potrebbe mettere in discussione.
Il problema è come vengono declinati. Se per mezzo dell’amore per la pace e il dialogo vengono contrabbandati un pacifismo ideologicamente connotato e un’apertura a senso unico verso culture a noi ostili, i conti non tornano.
Soprattutto suscitano perplessità atteggiamenti e iniziative di questo papato che alimentano il disorientamento dei cattolici:
- l’ammirazione più volte espressa per figure come Scalfari e Bonino, eroi del laicismo anticlericale;
- la tiepidezza dimostrata nei confronti dei sostenitori del “Family Day”;
- il forte impegno profuso per il dialogo interreligioso, con particolare enfasi per la riabilitazione dell’eresia luterana, e
- il disinteresse nei confronti degli esponenti della Chiesa cattolica cinese non governativa;
- l’ostinato e temerario appello all’accoglienza indiscriminata che minimizza le implicazioni destabilizzanti del fenomeno migratorio.
Così facendo la Chiesa mostra di non tener conto della lezione della storia.
Notava Evola che “chi si è illuso di poter dirigere le forze della sovversione assecondandone in qualche modo il corso ha sempre finito con l’essere travolto da esse”.