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Il panico da ansia: dal Dio Pan a Epitteto sino a Goethe

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Il panico da ansia: dal Dio Pan a Epitteto sino a Goethe

L’ansia è una conseguenza frequente nella popolazione, ma non inevitabile e, quando si manifesta in modo evidente, non è sempre seguita da attacchi di panico. L’attacco di panico viene definito come una esagerazione della normale reazione del corpo alla paura.

Nel Dizionario di mitologia greca e romana il temine “panico” deriva dal Dio Pan, una divinità ellenica in parte uomo e in parte capra. Pan era un Dio solitario che non dimorava sull’Olimpo, ma viveva specialmente nei boschi e con la sua voce spaventosa incuteva, in chi la udiva, una grande paura (1).

Infatti, era abitudine del Dio Pan apparire improvvisamente, suscitando una paura impensata e svanendo prontamente. Chi incontrava il Dio Pan sperimentava incredulità in merito all’accaduto, non riuscendo né a spiegare cosa fosse successo, né a fronteggiare la forte emozione negativa sperimentata.

Un attacco di panico è, in egual modo, un evento tanto intenso quanto breve, durante il quale si sperimenta un’ansia forte, acuta e improvvisa accompagnata da sintomi fisici.

L’adrenalina normalmente prodotta quando abbiamo bisogno di agire (sfuggire ad un pericolo, lottare, o anche arrabbiarci) viene generata in eccesso e il risultato è un insieme di sensazioni sgradevoli e un intollerante livello di paura. Tale attivazione fisiologica viene interpretata a livello cognitivo come qualcosa che inevitabilmente comporterà conseguenze gravissime, come svenire, morire o impazzire.

Epitteto, il filosofo greco, già nel I sec. d.c. asseriva che non siamo tanto influenzati dagli eventi di per sé, quanto dall’interpretazione che attribuiamo loro. Pertanto, modificare l’interpretazione degli eventi può influenzare l’effetto che essi hanno sull’individuo.

Uno dei punti fermi della teoria cognitiva dell’ansia è che sia la paura anormale sia l’ansia derivino da un’erronea valutazione del pericolo di una situazione che non risulta confermata da un’osservazione diretta (Beck et al., 1985).

Dopo aver sperimentato un attacco di panico, la maggior parte delle persone impara prontamente a riconoscere quelle situazioni in cui può avere o è più probabile che abbia un attacco di panico, evitandole. Tali condotte “auto protettive” vengono poste in essere al fine di ridurre le situazioni ansiogene, ma presentano efficacia soltanto nel breve termine, innescando un circolo vizioso da cui diventa difficile uscire.

L’individuazione di un metodo utile per alleviare l’ansia, derivante dall’esposizione del soggetto a situazioni da cui possono trovare origine i classici “sintomi ansiogeni”, non è una procedura nuova.

Infatti, intorno al 1770, Johann Wolfgang Goethe fornì un’esemplare descrizione di “esposizione auto-diretta” per fronteggiare la paura delle altitudini, dei rumori, del buio e delle ferite. Nella descrizione del suo trattamento “autosomministrato”, egli afferma: “Ho ripetuto le sensazioni penose e moleste finché le conseguenze mi sono diventate abbastanza indifferenti” (citato da Eysenck, 1990).(2)

La terapia cognitivo-comportamentale mira, oltre che alla riduzione ed alla gestione dei sintomi fisici, a favorire un modo di pensare più adeguato e ad aiutare la persona a vincere i comportamenti “auto protettivi”, focalizzandosi sui processi di valutazione e sul metodo strutturato di risoluzione dei problemi.

L’obiettivo della terapia è quindi quello di evitare che il problema con il tempo subisca un’accentuazione, così che piuttosto di divenire di tipo “non controllabile” possa gradualmente trasformarsi in atteggiamento psicologico agevolmente “controllato” dal soggetto.

  1. Dizionario di mitologia greca e romana, Cappelli Editore (2003). Il terrore detto panico era, in origine, la paura che il dio suscitava per la sua improvvisa comparsa, da ciò il sostantivo di panico.
  2. Eysenck ed Eysenck (1975, nevroticismo), Spielberger et al., (1983, ansia di tratto), Costa e Mc Crae (1992, nevroticismo) e Tellegen (1982, reazione allo stress).