
La scienza medica ha classificato le lesioni al collo dell’utero dalle quali può scaturire la degenerazione neoplastica in tre categorie: dette CN1, CN2 e CN3, differenziate per la gravità della lesione.
Nella prassi presso che internazionale, la lesione del tipo CN1 non è normalmente trattata terapeuticamente poiché l’esperienza dimostra che la regressione nella norma è spontanea.
Ciò non ostante, l’autore ha maturato un’esperienza terapeutica con una casistica clinica che consiglia il trattamento della CN1 e CN2; il risultato ottimale è funzione dell’esperienza del medico e del metodo utilizzato dall’operatore (ginecologo).
Le tecniche destruenti vengono evidenziate di seguito:
- Crioterapia,
- Termocoagulazione (Cold-coagulation ),
- Elettrodiotermia,
- Laser CO2.
Prescindendo dalla specifica tecnica utilizzata, per la quale l’autore ritiene molto efficace la termocoagulazione, si mostra importante una eradicazione della lesione già manifesta e presente sul collo dell’utero, avendo cura di trattare anche le cripte ghiandolari, giungendo in tal modo ad una profondità di 6-7 mm. In effetti, l’estensione della CIN (neoplasia intra-epiteliale) nelle cripte endocervicali è un evento frequente. La profondità media del coinvolgimento ghiandolare va da 1,24 mm. ad un massimo di 5.22 mm. (autori della ricerca, Boonstra ed altri).
Ciò presuppone che un’eventuale terapia, come la termocoagulazione, non solo produce effetti curativi immediati per la regressione della lesione CN1 ma impedisce l’allargamento della stessa verso una maggiore ampiezza e gravità quale il tipo CN2 e CN3, per poi sfociare nella degenerazione tumorale.
Nella prassi sanitaria prevalente, esistono due principali opzioni programmatiche nella gestione delle lesioni del tipo CN1:
- L’astensione dal trattamento terapeutico e l’osservazione citologica, con o senza colposcopia. L’eventuale progressione della lesione verso il tipo CN2 dovrebbe essere in tal modo verificata con immediatezza, in modo tale da programmare la terapia più opportuna.
- Un immediato trattamento terapeutico per i seguenti motivi:
- Il rischio di falsi risultati conseguenti allo screening effettuato, o non equivalenti quando provengono da centri di diagnostica differenti;
- La probabilità di una fallibilità dei test analizzati da un micro-processore (computer), in assenza di un controllo diretto da parte dell’occhio umano; ed in effetti, si conoscono casi di evidenza della presenza di cellule alterate in donne che hanno subito la esportazione dell’utero;
- Il difetto di “origine” del test, poiché i prelievi vengono nella norma effettuati in presenza di infezioni micotiche e batteriche, con effetti di “falsificazione” dei risultati evidenziati che rilevano la presenza del virus HPV nei fatti non realmente presente.
Sarebbe preferibile curare anticipatamente all’effettuazione del test la eventuale infezione micotica o batterica, mediante un prelievo immediato sulla paziente e procedendo ad una lettura al microscopio. I risultati del test consiglieranno la terapia più indicata. Va detto che l’assunzione di materiale ai fini del test micotico-batterico-virale viene effettuato anche su soggetti assuntori della “pillola” contraccettiva, che produce notoriamente un’alterazione della situazione citologica dell’area, con possibile falsificazione dei risultati .
Nella norma, la procedura di verificare anticipatamente la presenza di infezioni micotiche e/o batteriche, ispirata a motivi di prudenza, non viene praticata, con la conseguenza che dal test può risultare una falsa indicazione della presenza del virus HPV, dalla quale potrebbe derivare un orientamento a praticare la vaccinazione con Gardasil, dall’autore ritenuta pericolosa come ampiamente dimostrato su un nostro precedente articolo pubblicato sulla The Global Review.
Esistono alcune controindicazioni per la procedura programmatica che esclude un’immediata terapia nel caso delle lesioni del tipo CN1:
- la prima, è quella di eventuali negativi effetti psicologici sulle pazienti, dovute allo stress-ansiotico derivante dall’attesa dei risultati dell’esame citologico, anche con indesiderabili conseguenze per la stabilità del rapporto coniugale;
- la seconda, è connessa ai consistenti costi normalmente a carico del servizio sanitario pubblico, per l’elevato numero dei test successivi da doversi effettuare in caso di risultati negativi o poco chiari.
La tecnica termocoagulatoria è stata introdotta nella pratica ginecologica nel 1966 (autori, Gordon e Duncan,1991; e Loobuyck e Duncan,1993) come uno strumento dal costo contenuto, che ha avuto un ampia diffusione in Europa e Gran Bretagna ma non in Italia.
Ciò non ostante, la lunga esperienza dell’autore nell’uso di questa tecnica terapeutica ha maturato una soddisfacente casistica:
- i risultati del trattamento sulla lesione del tipo CN1 dimostrano una guarigione perfetta, con totale scomparsa della lesione;
- inoltre non si sono registrati “recidive” della patologia fino a 20 anni successivi al primo trattamento.
Va detto che le pazienti trattate con la tecnica della termocoagulazione presentavano lesioni sia da CN1 che da CN2, ed in entrambi i casi i risultati sono identici: guarigione totale.
Al riguardo, gli Autori sopra citati suggeriscono una tecnica di osservazione (coloscopia) unitamente al trattamento termocoagulatorio nella medesima seduta, con il vantaggio di velocizzare i tempi e l’efficacia dell’intervento medico. E’ chiaro che si mostra necessario la presenza di un coloscopista dalle indubbie qualità professionali, la qual cosa non è comune.
Nel caso si ricorra all’esame citologico mediante prelievo di tessuto con biopsia, gli inserimenti nel materiale uterino-cervicale vengono nella norma effettuati in quattro diverse posizioni: alle ore 12, 3, 6, 9, rispetto alla misurazione dell’ora solare.
E ciò all’autore sembra del tutto arbitrario ed in assenza di una vera logica di indagine scientifica; ed infatti, perché non fare prelievi in altre posizioni?
Il rigore del medico che effettua l’analisi impone invece un’attenta visione della parte lesa, per poter essere certi di effettuare i test citologici sul tessuto realmente affetto da patologia.
Conclusioni
Le lesioni da CN1, CN2 e CN3 del tessuto della cervice uterina dovrebbero essere affrontate con una maggiore attenzione da parte dei sanitari, procedendo in maniera da evitare falsi risultati nei test, evidenza di costi elevati a carico del sistema sanitario nazionale e soprattutto negativi effetti sulle pazienti affette dalla patologia; le quali oltre a subire gli effetti psicologici del decorso sanitario possono assumere i rischi di una diagnosi non corretta, con tutte le gravi conseguenze del caso.