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Cosa significa “Zero” e “Infinito”?

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Cosa significa “Zero” e “Infinito”?

Forme di Ateismo nella Scienza. Lo zero inteso come il nulla, deriva nichilista della nostra civiltà.

Lo zero inteso come il nulla è un semplice frutto della perversa radice atea, ambientata a meraviglia nella nostra civiltà, frutto di pura fantasia, dal momento che non ha riscontro alcuno nell’Universo.

Il forzato tentativo di attribuire lo stesso concetto di nullità alla civiltà Maya –per pure esigenze giustificative– è inequivocabilmente smentito dal codice di Dresda: il numero 364 (4 giorni kin, 1 anno armonico tun da 360 giorni) presenta un delizioso guscio vuoto di chiocciola per indicare l’assenza di mesi uinal da 20 giorni (fig. 1), mentre il numero 728, doppio di 364, (8 giorni kin, 2 anni armonici tun da 720 giorni) offre un affascinante guscio vuoto “gemellare”, a suggerire una doppia assenza di uinal (fig. 2): un guscio “raddoppiato” non si adatta a rappresentare la nostra moltiplicazione 2×0 = 0; fa scartare decisamente il concetto di nullità.

I Maya usavano semi, gusci e talvolta germogli per indicare l’assenza dei vari ordini, sicché il loro zero può essere definito acifra, come suggerito da un brillante matematico nel 2004 (C. Giannantoni).

Un discorso analogo vale per tutte le civiltà andine fino agli Incas: la mancanza di nodi in un quipus è semplicemente indicativa di una assenza di ordini decimali. Non rimane che rivolgersi all’India, la patria dello zero; qui il nulla si riveste di una insospettabile caratteristica spiccatamente generativa: lo zero sunya ha una lunga serie di attributi quali:

  • cielo,
  • spazio,
  • volta celeste,
  • atmosfera fino a piede di Vishnu.

Forse vale la pena tenere presente che Vishnu, la seconda persona della Trimurti, presiede la sostanza umida portando con i suoi passi la vita nell’universo in espansione; alla fine di ogni ciclo cosmico i suoi piedi vengono massaggiati dalla consorte Lakshmi, prima di iniziare un nuovo cammino latore di vita, secondo la nota teoria indù della successione di cicli cosmici.

Proprio il concetto di zero generativo, particolarmente legato al piede di Vishnu, fa affermare nel Vâsavadattâ: “le stelle splendevano come punti zero sparsi nel cielo”.

E in occidente?

Fibonacci introduce lo zero indiano per semplificare notevolmente i calcoli, rendendo spettacolarmente chiari i pareggi di bilancio negli esercizi commerciali, ma ha una tale considerazione della nullità che la successione che porta il suo nome (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, …) non ne contempla la presenza!

Il numero 1, simbolo per eccellenza della divinità, viene sapientemente ripetuto per sottolineare con forza l’unicità di ogni essere vivente, perfetto riflesso della divinità stessa.

Tuttavia l’ateistico nulla ha esercitato un allarmante fascino, crescente nei secoli, sulle menti più brillanti dell’occidente. Basti pensare a Shakespeare che ha trattato lo stesso tema, sia pure da punti di vista diversi, in tre sue opere (Macbeth, Amleto e King Lear).

Preferiamo però soffermarci sulla composizione 4’ 33” di John Cage del 1952. Qui l’autore, volendo realizzare l’equivalente musicale della temperatura zero assoluto (che vedrebbe l’annullarsi di qualsiasi oscillazione in una sorta di “paralisi cristallina”) costringe un elegante concertista (fig. 3), immobile su uno sgabello, a non suonare un bellissimo pianoforte a coda per i tre movimenti, completamente privi di note, della durata complessiva di quattro minuti e trentatré secondi.

La contraddizione nella quale cade irrimediabilmente Cage consiste nel fatto che l’assenza di note dal pianoforte non garantisce affatto il silenzio assoluto: rimane un sottofondo incancellabile, quello connesso al respiro dei presenti, caratterizzato da ritmi tipicamente musicali. Involontariamente Cage, con la sua composizione, mostra la reale impossibilità di raggiungere la temperatura zero assoluto, anticipando in modo ingenuo le meraviglie svelate, appena qualche anno fa, dalle sonde Cobe e Planck.

Sì! Nei suoi più bui recessi l’Universo presenta un “andirivieni” di fotoni –in tutte le direzioni e con le frequenze tipiche delle microonde– che incoraggia ad escludere decisamente una stasi da zero assoluto.

I dati rilevati, riportati in figura 4 come quadratini, disegnano alla perfezione una curva che corrisponde allo spettro di emissione di un corpo nero avente una temperatura di 2,7 K. La spettacolare perfezione della curva indusse molti, nella conferenza di presentazione dei risultati Cobe, ad esclamare: “Sembra proprio disegnata da Dio!”.

Le potenze specifiche in gioco sono correlabili ad una “massiva” presenza di 410 fotoni per centimetro cubo, disposti come in un delicatissimo ricamo a filet, quello che fa dire al salmista: “Fece della tenebra un velo!” (Salmo 18,12).

Dunque il fotone, vale a dire la luce, “riempie lo spazio intermedio in modo che l’insieme resti saldamente connesso in tutte le sue parti”, secondo la visione platonica (Simposio 202, e, 6-7) e questo diffuso sistema ondulatorio, musicale, scientificamente chiamato radiazione di fondo, è la prova più evidente del Big Bang o, molto più semplicemente, la permanente, inassorbibile eco del grido divino primordiale: “Fiat lux!”.

Abbiamo parlato, non a caso, di “andirivieni” di fotoni; ora, se l’aspetto centrifugo è facilmente intuibile, quello centripeto pone l’interrogativo:

“Ma da cosa sono riflessi, invitati a tornare indietro i fotoni?”.

L’Idrogeno ha una temperatura di fusione pari a 14 K, quindi a 2,7 K si trova certamente allo stato solido; l’Idrogeno è anche l’elemento più leggero, quindi quello “scagliato” più lontano. Emerge il quadro chiaro di un Universo che si autodelimita con un guscio di Idrogeno solido: è l’Uovo del Mondo dei greci e dell’alchimia, la sfera di cristallo (fig. 5) sorretta nella mano sinistra dal Redentore in tante opere d’arte!

E non si tratta di un guscio rigido e statico, dal momento che deve agilmente adattarsi a una continua espansione; ha una sua corrente, come quella di un fiume che “rifluisce su se stesso”, senza foce come Oceano (Iliade XVIII, 399).

Allora perché svilire l’intera cultura greca, attribuendo ad Oceano il riduttivo compito di delimitare le terre emerse, quando lo stesso “fiume” impegna “l’ultimo giro del solido scudo” di Achille (Iliade XVIII, 607), contenendo inequivocabilmente al suo interno “terra, cielo, mare, sole, luna e costellazioni”? (Iliade XVIII, 483-487).

Lo stesso concetto è impareggiabilmente esposto nel mosaico del catino absidale di sant’Apollinare in Classe a Ravenna (fig. 6). La più concettuale Trasfigurazione, così classificabile per la presenza contemporanea di Mosè ed Elia, mostra la sfera dell’Universo “solidamente” circoscritta e pervasa dalla Croce.

Vi sono definiti inequivocabilmente un “interno” ed un “esterno”, didatticamente esplicitati in un livello “inferiore” e uno “superiore”, per simboleggiare l’immanenza (il verde con le sparute pecore Pietro, Giacomo e Giovanni) e la trascendenza (l’inossidabile oro con la potente Mano, Mosè ed Elia).

Lo spazio ed il tempo –creati insieme secondo la visione agostiniana– sono concausa delle “diverse” combinazioni nell’Universo, richiamate dalla presenza ai capocroce di A e W, la prima e l’ultima lettera greche, simboli dell’intero alfabeto, quindi delle “diverse” parole–combinazioni. Spazio e tempo sono artisticamente i bracci verticale ed orizzontale della Croce che, con grandissima coerenza logica, non sovrastano il guscio solido.

  • Infatti come potremmo parlare di “diverse” combinazioni per qualcosa che, sia pure in continuo movimento, rimane sempre simile a se stessa, sempre Idrogeno allo stato solido?
  • E che dire di noi?
  • Deve aumentare considerevolmente l’autostima quando tardiamo a dimostrare scientificamente la “oscura” presenza di un guscio così solidamente strutturato?

E veniamo all’infinito, matematicamente definito nel 628 da Brahmagupta come l’inverso dello zero nullo. Si rivela un’altra fantastica assurdità, non trovando alcun riscontro nel creato.

L’Universo, per poter generare la vita, ha bisogno di miliardi di anni e le sue indiscutibili dimensioni sono di miliardi di anni luce.

Per qualcuno sono dimensioni da sgomento; per Qualcuno sono le dimensioni di una graziosa sfera da tenere amorevolmente nella mano sinistra; ad ogni modo non sono certamente riconducibili al concetto di infinito, sicché la storiella dell’albergo infinito, del massimo matematico del secolo scorso, può essere tranquillamente considerata una favola, peraltro assai poco divertente, destinata agli ingenui patentati, dal momento che l’intero Universo è incapace di ospitare un simile mostro.

Certamente un Universo infinito, anche se  esclusivamente mentale, avrebbe fatto sorridere Aristotele per i suoi infiniti centri e le sue infinite sfere!

Un atteggiamento molto concreto e costruttivo nei confronti dell’innaturale infinito è facilmente riscontrabile in Fluidodinamica: quando l’applicazione di una teoria genera un infinito nelle velocità, accelerazioni o spazi si cerca semplicemente una teoria più aderente alla realtà, sempre verificabile sperimentalmente.

Purtroppo un atteggiamento così saggio è stato inspiegabilmente abbandonato in altri ambiti della Fisica.

Ma chi ha introdotto, sia pure in modo latente, l’assurdo infinito?

Il quinto postulato inchioda Euclide (fig. 7c) a questa scomoda responsabilità. “Per un punto esterno ad una retta passa una e una sola retta parallela”.

  • Già! Ma da dove vengono e dove vanno le due rette, procedendo sempre in modo così monotono e innaturale?
  • E, soprattutto, dove trovare due rette siffatte se le traiettorie di tutti i corpi celesti sono curve?

Dopo due millenni di incantata, acritica accettazione la rimozione del quinto postulato ha consentito la fioritura delle geometrie non euclidee a partire da Riemann (fig. 7a) e Lobachevsky (fig. 7b); dunque il quinto postulato di Euclide si è rivelato soggettivo, “non in grado di riprodurre il mondo reale”.

E prima di Euclide?

Tutte le civiltà andine e mesoamericane precolombiane e, prima ancora, le civiltà mediterranee nuragica ed egizia aborrivano tanto lo zero e l’infinito che si mettevano a equidistanza di diffidenza da entrambi, facendo uso di scale esponenziali.

Laddove noi ingenuamente procediamo in modo lineare (…, -2, -1, 0, 1, 2, …), le grandi civiltà ricorrono sapientemente a passi esponenziali (…, 1/100, 1/10, 1, 10, 100, …), in grande armonia con la natura, sicché l’origine di un sistema di riferimento piano non ha più le inconsistenti coordinate (0,0), bensì quelle dense di significato (1,1).

 

Sistemando questa origine unitaria al centro del disco di Imenmes (fig. 8), usando scale esponenziali per le due coordinate polari (angolo e raggio), si schiudono affascinanti orizzonti matematici, perfettamente armonizzati con la natura.

Semplici funzioni sono in grado di seguire lo sviluppo di organismi viventi (fig. 9); quattro incantevoli circonferenze sono rappresentative delle funzioni seno e coseno (fig. 10); mancano però le nostre ripetizioni che tengono conto della periodicità!

Inutili?

Non del tutto se le considerassimo indicative della nostra gratuita violenza:

Infatti, perché abbiamo forzato la “apertura” dell’angolo giro, una entità per definizione chiusa su se stessa?

Il fascino di queste quattro circonferenze è stato tale che ci ha portati a realizzare il regolo di Imenmes (fig. 11), utile per il calcolo delle funzioni seno e coseno. (Per eventuali approfondimenti usare il link http://iisvoltapescara.gov.it/sites/default/files/file/egynur.pdf).

E il famoso quinto postulato?

Diventa: “Tutte le rette nascono dalla stessa origine che, in uno spazio sferico, ha le coordinate (1,1,1)”. La portata universale di questo postulato, chiamiamolo così egizio-nuragico, è perfettamente evidente: si tratta di un postulato oggettivo!

 

  • E se ci avvicinassimo alla relatività con uno spirito libero da pregiudizi, con grande rispetto ma senza timori reverenziali –alla Riemann o Lobachevsky per intenderci– cosa succederebbe?
  • Nascerebbero diverse relatività non einsteiniane o qualcos’altro?

L’argomento è talmente stimolante ma non può essere affrontato in questa sede.

Definizioni

Il Kin

L’anno Maya ha un’unità base chiamata Kin, una parola che significa giorno, sole, ecc. Il calendario Tzolkin ha un ciclo di mesi di 20 giorni con un ciclo numerico di 13 giorni.

  L’uinal

L’anno Maya è diviso in 19 mesi, chiamati Uinal, ognuno ha un nome e un glifo corrispondente. Di questi mesi, i primi diciotto hanno venti giorni e l’ultimo, chiamato Uayeb, ne ha solo cinque. I giorni in un mese sono numerati da 0 a 19 con l’eccezione di Uayeb, numerato da 0 a 4.

 I numeri

Per scrivere le loro date, i Maya usavano sia il glifo corrispondente ai diversi periodi sia un numero per ognuno di essi. I Maya hanno sviluppato un sistema matematico unico che utilizza punti per ciascuna unità e barre per cinque unità. I numeri possono essere scritti verticalmente o orizzontalmente. Hanno scoperto e utilizzato zero unitamente ad un sistema di posizionamento.

Quipus è un antico dispositivo Inca per la registrazione di informazioni, composto da fili di diversi colori annodati in modi dissimili.

Sunya è una parola sanscrita che significa “zero”, “niente”, “niente” o “vuoto”. …

Vishnu è una delle principali divinità dell’induismo e l’essere supremo nella sua tradizione del vaisnavismo. Vishnu è il “curatore” della trinità indù (Trimurti) che include Brahma e Shiva.

Lakshmi è la dea indù di ricchezza, fortuna e prosperità. Lei è la donna e shakti (energia) di Vishnu.

Vasavadatta è un classico racconto romantico sanscrito (akhyayika), scritto in uno stile decorato. Il suo autore è Subandhu, le cui date di esistenza non sono precise e potrebbero essere scritte nel secondo quarto del settimo secolo.

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Ingegnere aeronautico e ricercatore in tematiche fisico-matematiche, si è in particolare dedicato allo studio dell’”abaco” inca ed egizio e delle applicazioni matematiche nella civiltà dell’antico Egitto. Le sue ricerche hanno rilevato la presenza di concetti di fisica e matematica nella struttura di alcuni antichi portali italiani. Ha pubblicato i risultati delle sue attività di studio e ricerca.