Economista statunitense John Kenneth Galbraith (1908-2006), studioso di fama mondiale, docente presso le Università di Princeton,Cambridge ed Harvard. L’ opera oggetto della nostra attenzione è pubblicata nella collana BUR Saggi nell’aprile del 2013, con il titolo “La moneta: da dove viene e dove va”; la sua prima edizione statunitense risale al 1975, riedita nel 1995.
Il lavoro di Galbraith si mostra assai attuale per le tematiche trattate, poiché si pone lo scopo di aiutare a comprendere in che modo le dinamiche della moneta hanno caratterizzato la storia economica degli Stati Uniti d’America e dunque il ruolo svolto nelle Economie moderne dalle politiche monetarie. E’ un tema quanto mai attuale e non solo con riferimento alla situazione europea e dei Paesi ad Economia più avanzata bensì dell’intero contesto planetario, oggi caratterizzato da un processo di globalizzazione molto discusso per i suoi effetti non sempre positivi sullo standard di vita delle popolazioni .
L’Autore ci racconta la nascita della moderna moneta, inizialmente battuta in metallo prezioso e con varie forgiature per lo più connesse alla disponibilità dell’oro,argento ed anche rame; singolare risulterà al lettore un’esperienza tutta americana dei secoli XVII-XVIII-XIX, che ci dice dell’uso del tabacco e del bourbon(bevanda alcolica) in qualità di moneta in alcuni Stati con forte prevalenza dell’Economia agricola.
L’aspetto da porre in risalto è quello di un genero monetario dotato di “valore intrinseco”, poiché rappresentato da un bene economico con specifiche utilità, alle quali si aggiunge quella indifferenziata di essere universalmente fungibile negli scambi. Dalla lettura del testo risulta con chiarezza che la circolazione monetaria è connessa, da una parte, alla formazione dei deficit di cassa ( entrate < uscite) delle pubbliche amministrazioni statali, dall’altra, allo sviluppo degli affari economici nella collettività e quindi alla crescita dell’Economia. La moneta assume anche un ruolo di rilievo nel finanziamento delle spese di guerra, diventando un fattore critico di successo in presenza di una sua sufficiente disponibilità. Di poi, con lo sviluppo economico, assume sempre maggior rilievo ed influenza la circolazione della moneta bancaria, chiamata dall’Autore “banconota” per distinguerla dai biglietti legali e da quella metallica. Entra quindi in gioco il genere monetario cartaceo, ma convertibile in metallo prezioso in un determinato rapporto.
Nel corso della trattazione Galbraith pone in luce i vantaggi e gli svantaggi della circolazione di una moneta convertibile e quindi quantitativamente connessa alla disponibilità di oro ed argento, con effetti a volte depressivi sull’andamento degli affari economici e sui prezzi e, viceversa, inflattivi e di sostegno alla crescita del reddito; singolari appaiono i numerosi esempi storici, anche recenti, della sospensione della “convertibilità” in ragione di una sensibile espansione della quantità di biglietti e banconote circolanti, generalmente in connessione a situazioni di guerra ed alle ingenti spese del conflitto.
In un’inedita interpretazione della realtà economico-monetaria dei moderni sistemi produttivi, Galbraith riferisce l’origine dell’inflazione, in alcune situazioni di contesto, al potere di mercato dei produttori, che li pone nella condizione di incrementare i prezzi a scopo di espansione dei profitti, anche in presenza di una domanda che flette per un generale rallentamento dell’Economia. A tal fine, riporta l’esperienza statunitense del secondo conflitto mondiale e della guerra di Corea, nelle cui circostanze il Governo attuò una politica di prezzi controllati che produsse il risultato di un arresto dell’inflazione contestuale alla crescita del reddito, trainata dalle spese belliche e dall’industria degli armamenti.
L’Autore trae spunto da queste esperienze per sottolineare l’inefficacia delle politiche monetarie nel contenimento delle variazioni in aumento dei prezzi, in alcuni contesi produttivi e di mercato. Altro aspetto interessante della trattazione sviluppata in tale opera, dal gusto prevalentemente storico, è quello del ruolo della banche nelle moderne Economie e della lunga storia americana caratterizzata da estesi fallimenti bancari, con gravi danni per il pubblico per la perdita dei risparmi e conseguenti effetti depressivi sui consumi ed investimenti; è curioso ma anche istruttivo comprendere l’atteggiamento umano nei riguardi delle vicende storiche: sembra in effetti che l’uomo abbia la memoria “corta”, poiché a distanza di meno che di qualche decennio si rideterminano crisi finanziarie della medesima intensità e per le stesse cause; vale a dire, un’irresponsabile conduzione degli affari da parte delle banche, con assunzione di rischi oltre il dovuto e conseguente evidenza di consistenti perdite in bilancio nelle fasi di rallentamento della crescita economica.
A dire il vero la storia è simile alla situazione odierna, ma con la differenza che i fallimenti vengono nella norma evitati per il massiccio intervento delle Banche Centrali e dei Governi, che nei fatti si accollano le perdite degli istituti bancari; in tal modo i banchieri, responsabili di imprudenti politiche nella conduzione degli affari e di atteggiamenti gestionali tipici del “moral hazard”, non assumono gli oneri dei propri errori e le conseguenze di gravi omissioni comportamentali, manifestando il noto e detestabile fenomeno della “privatizzazione” dei profitti a fronte di una ”socializzazione” delle perdite.